Il Consiglio Internazionale della UILPA Esteri ha, in queste settimane, approfondito collegialmente gli aspetti più delicati che coinvolgono in questa fase emergenziale il personale del MAECI in servizio all'estero. Sono emerse una serie di criticità accompagnate da proposte concrete che sono state trasfuse all'interno del presente documento.
La inarrestabile diffusione su scala mondiale del virus COVID-19 sta mettendo il mondo davanti ad una sfida di dimensioni storiche, che è stata accostata - non a torto per chi scrive - ad una guerra mondiale. Esistono per fortuna importanti differenze in positivo rispetto ad una guerra (riparandosi in casa ci si protegge e l'epidemia durerà sicuramente meno di un conflitto armato) ma in altri casi lo scenario si sta rivelando più complesso. Non c'è infatti nessun nemico con cui negoziare una tregua, ma soprattutto è impossibile prevedere le direttrici di avanzamento del virus o presidiare in anticipo i punti strategici. Agire d'anticipo diventa conseguentemente un fattore cruciale, esattamente però quel che è mancato da parte di tutti i decisori politici dall'inizio di questa crisi, con l'indesiderabile e controproducente risultato di dover inseguire un contagio dilagante e quasi inarrestabile.
Questa premessa non vuole essere polemica o inutilmente generica, perché da queste terribili lezioni è possibile invece ricavare delle linee guida che, nel nostro piccolo, la nostra Amministrazione deve individuare per tutelare efficacemente il personale in servizio all'estero.
Come appare già abbondantemente chiaro, l'emergenza nazionale che viviamo in questi giorni pare destinata a replicarsi in tempi diversi nel resto del mondo, e forse a conoscere localmente delle ondate di ritorno. Anche a voler essere ottimisti, una volta infatti raggiunta la quasi normalità in Italia, saranno purtroppo altri gli Stati ed i territori dove le attività ordinarie verranno interdette. Laddove il contagio di massa raggiungesse poi le aree più povere del pianeta, nelle quali si segnalano già carenze a fornire cure mediche basilari, ai rischi mortali posti dal virus potrebbero sommarsi anche gravi disordini e turbamenti socio-politici, con evidente gravissimo pericolo per i nostri colleghi che in quei luoghi si trovassero ad operare. Diventa perciò indispensabile individuare, fin da prima, gli scenari di rischio per attivarsi in tempo utile (ed il virus ci sta insegnando che spesso "tempo utile" significa "subito") a tutelare sia i singoli che l'intero staff delle missioni, contemperando il rischio con l'operatività delle stesse ed eliminando il più possibile margini di discrezionalità nella decisione finale che potrebbero portare ad esiti indesiderabili.
La nostra proposta prevede la divisione delle sedi in tre gruppi, così caratterizzati:
• sedi in paesi che garantiscono un'assistenza sanitaria adeguata;
• sedi in paesi che non garantiscono un'assistenza sanitaria sufficiente, ma da cui sono possibili evacuazioni sanitarie individuali;
• sedi in paesi che non garantiscono un'assistenza sanitaria sufficiente, da cui non è realizzabile in tempi rapidi ed in condizioni di sicurezza un'evacuazione sanitaria.
Nel primo caso non sarebbe evidentemente necessario adottare alcuna misura straordinaria, ma andrebbero comunque valutate situazioni individuali, in particolare quelle di salute, le quali imponessero la necessità di rimpatri o trasferimenti. Andrebbero inoltre assecondate le esigenze dei colleghi che sentissero la necessità di tornare a Roma per motivi personali o familiari.
Fermo restando che quanto appena evidenziato si dovrebbe applicare anche agli altri due gruppi, nel caso delle sedi di "seconda fascia" andrà inoltre effettuata un'attenta verifica sulla possibilità di evacuazioni sanitarie individuali in condizioni di sicurezza ed in tempi accettabili.
Di particolare importanza sarà accertare le condizioni offerte dal broker RBM, specialmente per quanto riguarda la possibilità di accedere già localmente a trattamenti di urgenza.
Circa il terzo gruppo, l'adempimento prioritario delle sedi dovrebbe essere infine di stabilire i presupposti al verificarsi dei quali l'attività della sede andrà sospesa ed il personale trasferito in località che possiedano quantomeno le caratteristiche del secondo gruppo. Oltremodo importante sarà organizzare procedure comuni con le altre articolazioni dello Stato sul posto (ICE, AICS, Addettanze, aziende pubbliche) così come con le altre rappresentanze dell'Unione Europea, al fine di ottimizzare i costi ed adottare misure più efficaci. A tale riguardo lo EU Civil Protection Mechanism, utilizzato per rimpatriare molti connazionali ed altri cittadini europei, potrebbe costituire una soluzione efficace per eventuali evacuazioni del personale delle nostre rappresentanze e di quelle di altri paesi UE.
Un aspetto con ciò strettamente legato è infine quello dell’inquadramento giuridico ed economico del personale evacuato o rimpatriato. A tutt’oggi l’Amministrazione sta applicando il regime dell’art. 168 del D.P.R. 18/67 (Trattenimento in servizio) ai colleghi bloccati in Italia durante le prime settimane del lockdown. Quest’ultimo prevede un periodo di 20 giorni ad ISE intera, seguito da 50 giorni ad ISE dimezzata e dal successivo passaggio allo stipendio metropolitano intero, garantendo comunque la conservazione del posto non appena le circostanze permettano il rientro in sede. Si tratta tuttavia di una norma immaginata per casi diversi (ad esempio, Ambasciatori richiamati a Roma per consultazioni) di cui quindi si potrebbe valutare un emendamento per adattarla alle casistiche emerse negli ultimi anni, come le chiusure temporanee di sedi belliche o, appunto, situazioni come quella innescata dall’attuale pandemia.
Il documento rimane aperto ad ulteriori spunti e riflessioni, in particolare ai contributi che gli iscritti ed i simpatizzanti vorranno sottoporre alla UILPA Esteri. La mobilitazione delle forze e delle intelligenze di tutti noi sarà il fattore chiave per costruire il "dopo".
Roma, 6 aprile 2020 Il Consiglio Internazionale della UILPA Esteri